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Published on settembre 11th, 2014 | by Antonio Ciccotti

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Museo Archeologico Napoli

Informazioni , indirizzo,storia, orari apertura e chiusura del Museo Archeologico Nazionale di Napoli

Il Museo

Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, uno dei primi costituiti in Europa in un monumentale palazzo seicentesco tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, può vantare il più ricco e pregevole patrimonio di opere d’arte e manufatti di interesse archeologico in Italia.IMG_0481

I percorsi

Le opere d’arte ed i reperti archeologici sono presentati secondo la loro collocazione fisica all’interno di ventisei sezioni tematiche, costituite in base a due originari criteri espostivi: antiquario e tipologico.IMG_0453

Il primo si incentra intorno al nucleo della collezione Farnese, ereditata da re Carlo III e poi detenuta dalla famiglia Borbone, cui se ne aggiunsero nel tempo altre, quali le collezioni Borgia, Picchianti, Santangelo e Vivenzio.IMG_0456

Il secondo è composto soprattutto dagli oggetti rinvenuti negli scavi condotti nelle città sepolte dall’eruzione del Vesuvio e nei siti dalla Magna Grecia e dell’Italia antica. Di recente si sta procedendo ad un riassetto di alcune sezioni secondo contesti storici e topografici. Esistono, inoltre, un’importante collezione di oggetti egiziani o egittizzanti, e un ingente Medagliere con monete, medaglie e gemme incise, dall’età greca all’epoca moderna. 

Le visite tematiche

 Le relazioni storiche e concettuali che è possibile istituire tra le opere d’arte e gli oggetti archeologici, indipendentemente dalla loro collocazione fisica all’interno delle diverse sezioni espositive del Museo, sono tracciate attraverso alcuni percorsi tematici virtuali, che consentono anche di ricostruire i contesti topografici di rinvenimento ovvero l’appartenenza a determinati ambiti culturali.

 

ORARI DI APERTURA

Aperto tutti i giorni dalle 9.00 alle 19.30
Chiusura settimanale: martedì; festiva: 1° gennaio, 1° maggio, 25 dicembre.

Si invitano gli utenti ad informarsi preventivamente degli ORARI DI VISITA delle collezioni cliccando qui oppure chiamando allo Punto informazioni del Museo: +39.081.4422149. Per stampare l’orario giornaliero delle Collezioni del Museo aperte clicca qui

Per rispettare le limitazioni di turnazioni del personale prescritte dalle norme l’apertura delle collezioni nei GIORNI FESTIVI varierà  in dipendenza del personale presente.

Nel PERIODO ESTIVO per il medesimo motivo e per consentire di fruire delle ferie previste dalle norme vigenti nel giorno di DOMENICA saranno aperte solo alcune sale delle collezioni secondo gli orari di visita visibili cliccando qui

Per le NUOVE MODALITA’ DI VISITA del Museo si invita a prendere visione di questa pagina o a chiamare il Punto informazioni del Museo: +39.081.4422149.

 

Museo archeologico nazionale di Napoli

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Museo archeologico nazionale di Napoli

La facciata del museo

Tipo

Archeologia

Indirizzo

Piazza Museo, 19
80135 NapoliItalia

Sito

ufficiale e sui beni culturali della Campania

Il Museo archeologico nazionale di Napoli (MANN) è un museo archeologico, tra i più importanti della città di Napoli. Vantando il più ricco e pregevole patrimonio di opere d’arte e manufatti di interesse archeologico in Italia, è considerato uno dei più importanti musei archeologici al mondo se non il più importante per quanto riguarda la storia dell’epoca romana.

Ha una superficie espositiva complessiva di 12.650 mq.

L’edificio che attualmente ospita il museo è il palazzo del real museo, costruito nel 1585 come “caserma di cavalleria”. Il palazzo rappresenta una certa rilevanza architettonica essendo infatti uno dei più imponenti palazzi monumentali di Napoli. Esso insiste sull’area di un’antica necropoli della greca Neapolis: la necropoli di Santa Teresa.

Il museo è formato da tre sezioni principali: la collezione Farnese (costituita da reperti provenienti da Roma e dintorni), le collezioni pompeiane (con reperti provenienti dall’area vesuviana, facenti parte soprattutto delle collezioni borboniche) e la collezione egizia che, per importanza, si colloca in Italia al secondo posto dopo quella del museo egizio di Torino. Sia questi tre settori che altri del museo sono costituiti da collezioni private acquisite o donate alla città nel corso della storia, come per esempio, oltre alle già citate collezioniFarnese e Borbone, la collezione Borgia, la Santangelo, la Stevens, la Spinelli ed altre.

Gli importanti lavori di restauro e di ristrutturazione dell’edificio avviati nel 2012 consentiranno la realizzazione di una riorganizzazione globale delle collezioni secondo criteri espositivi nuovi, permettendo inoltre che alcune raccolte rimaste escluse dalla visita per decenni, possano trovare definitiva sistemazione dentro l’edificio.

I reperti mai esposti al pubblico riguardano la sezione Magna Grecia, quella Cumana (costituita da vasi greci), l’epigrafica ed una ricca parte della statuaria pompeiana.IMG_0443

Si stima che i pezzi in deposito siano in quantità tre volte superiore rispetto a quelli esposti e che gli stessi occupino allo stato attuale tre livelli dei sotterranei del palazzo ed un piano del sottotetto.

Dal 2005 nella sottostante stazione “Museo” della linea metropolitana è stata aperta la stazione Neapolis, in cui piccoli ambienti che si succedono tra loro espongono i reperti archeologici rinvenuti durante gli scavi della metro ed entrati a far parte del patrimonio museale.

Nel 2013 è stato il quindicesimo sito statale italiano più visitato, con 308.387 visitatori e un introito lordo totale di 1.051.885,81 Euro.

 

Storia del Museo Archeologico Nazionale di Napoli

 

Cavallerizza (1585-1611)

Lato occidentale del museo, su via Santa Teresa degli Scalzi. Ingresso originario della Cavallerizza.

La costruzione dell’edificio fu iniziata nel 1586 come caserma di cavalleria; questa era situata subito al di fuori della cinta muraria di Napoli (che correva dove oggi si trovano i porticati antistanti la galleria Principe di Napoli). La Cavallerizza era molto più piccola dell’attuale palazzo museale ed il suo ingresso principale si apriva sul lato occidentale, sull’attuale via Santa Teresa degli Scalzi, dove tuttora è visibile, seppure murato, caratterizzato da due tozze colonne in basalto a rocchi distanziati sovrapposti. I lavori tuttavia proseguirono a rilento anche per la mancanza di acqua in zona.

Palazzo dei Regi Studi (1612-1776)

Nel 1612 il viceré don Pedro Fernández de Castroconte di Lemos decise di trasferire nell’edificio incompiuto l’università di Napoli (“palazzo dei Regi Studi”), già a San Domenico Maggiore.

I lavori di ristrutturazione furono affidati a Giulio Cesare Fontana e prevedevano nella pianta: un ampio atrio centrale che si apriva a sud (l’attuale ingresso principale), chiuso sul fondo da una grande aula absidata destinata alle solenni adunanze (la “sala dei Concorsi”)] illuminata da alcuni finestroni e, al di sopra dell’atrio, un ampio salone per la biblioteca; ai lati invece, simmetricamente, due cortili quadrangolari circondati da porticati sui quali si aprivano le diverse aule.

L’aspetto esterno prevedeva l’ingresso principale fiancheggiato da due colonne in marmo e due finestroni, stemmi al di sotto dei balconi, finestroni per la biblioteca, ed in cima un frontone. La facciata delle ali laterali, distinte dal solo piano terra, veniva caratterizzata da grandi finestre con timpani decorati agli apici da vasi e medaglioni contenenti dei busti, alternate a nicchie contenenti delle statue (come attestano diverse antiche stampe ed un famoso quadro di Viviano Codazzi).

Benché non fosse ancora completo, l’edificio fu inaugurato nel 1615 ma già l’anno dopo i lavori vennero interrotti per la partenza del Fontana da Napoli. Tra il 1670 e il 1688, a seguito di cedimenti e soprattutto dei gravi terremoti che colpirono la città, vennero chiuse le arcate dei porticati che davano sui cortili per sostenere maggiormente il corpo centrale e murate anche le finestre dell’aula absidata. Con l’avvento dei Borbone, re Carlo di Borbone, (dal 1759 Carlo III di Spagna), incaricò già nel 1735 Giovanni Antonio Medrano a riparare i danni subiti dal palazzo; al Medrano si deve infatti la geniale soluzione della copertura del “Gran Salone” al primo piano, col sistema del doppio tetto: uno interno di travi e tiranti lignei al quale è sospesa la volta successivamente affrescata ed un secondo ordine di capriate più alto che copre il tutto e costituisce il tetto vero e proprio.

Nel 1742 l’architetto Ferdinando Sanfelice cominciava a costruire l’ala orientale del palazzo ma i lavori vennero interrotti 17 anni dopo per la partenza del re Carlo per il trono di Spagna.

 

Real Museo Borbonico (1777-185)

Lo scalone monumentale

Succeduto sul trono di Napoli il figlio Ferdinando IV, dopo aver espulso nel 1767 i Gesuiti dal regno di Napoli, nel 1777 spostava definitivamente l’università dei Regi Studi nel loro ex convento del Salvatore[11] e decideva quindi di trasferire nel liberato palazzo sia il “museo Hercolanese” dalla reggia di Portici che il “museo Farnesiano” dalla reggia di Capodimonte, oltre alla biblioteca ed alle scuole di Belle Arti. I lavori di ristrutturazione vennero così affidati a Ferdinando Fuga. Costui ridusse l’atrio di ingresso da tre ad una sola navata, quella centrale, murando tutte le arcate. Lo stesso venne fatto a tutto il porticato occidentale, mentre l’aula absidata “dei Concorsi” fu abolita ed in essa realizzato l’attuale scalone monumentale, ma in piperno.

Il progetto prevedeva una netta separazione tra i vari nuclei con al pianterreno il museo Hercolanese intorno al cortile occidentale, la quadreria farnesiana invece intorno al cortile orientale, mentre gli ambienti sul piano ammezzato venivano destinati da un lato al bibliotecario ed al restauro, dall’altro alle accademie ed allo “studio del nudo”. Il “Gran Salone” al primo piano invece fu destinato ad accogliere la biblioteca.

Crescenti critiche all’operato del Fuga (oscurità del corridoio di accesso, cattiva esposizione dell’accademia, costi eccessivi) fecero sì che nel 1780 la prosecuzione dei lavori fosse affidata a Pompeo Schiantarelli che non tardò a ripristinare il vecchio atrio a tre navate riaprendo le sue arcate, a realizzare davanti al museo il terrapieno con i relativi scaloni in basalto e poi, progettando di soprelevare l’edificio, ad abbattere i tetti a spiovente sopra le ali laterali per sostituirli con delle terrazze. Lo Schiantarelli è una figura importante per i numerosi progetti di ampliamento del museo, progetti purtroppo tutti abortiti per le più diverse ragioni.

Salone della Meridiana

Mentre Pietro Bardellino nel 1781 realizzava l’affresco sulla volta del “Gran Salone”, i lavori venivano di lì a poco interrotti un po’ per la morte del Fuga, un po’ per la mancanza di fondi ed infine per il terremoto nelle Calabrie del 1783 che stornò le rimanenti risorse. Qualche anno dopo, tra il 1786 ed il 1788 Ferdinando IV riuscì, nonostante le vive proteste e l’opposizione dipapa Pio VI, a trasferire da Roma a Napoli le ricche e importanti collezioni di antichità farnesiane ereditate da sua nonna Elisabetta Farnese. Ciò richiese un progetto di ampliamento del museo.

Il primo progetto dello Schiantarelli prevedeva di ampliare il museo verso nord, acquistando il giardino del convento di Santa Teresa e realizzando un’ampia galleria ad emiciclo; questo progetto fu cambiato in uno simile dove l’ampio emiciclo veniva sostituito con un altrettanto ampio corpo rettangolare con un unico cortile centrale, ovvero con due cortili simmetrici, in sostanza prevedendo un raddoppiamento del museo verso nord. Tuttavia i costi eccessivi di questi progetti obbligarono lo Schiantarelli a ridimensionare il tutto in un terzo progetto. I lavori vennero ripresi nel 1790 ma l’anno dopo l’astronomo Giuseppe Casellapropose di inserire nell’edificio un osservatorio astronomico che obbligò a rielaborare nuovamente l’ultimo progetto: esso prevedeva la realizzazione di un’alta torre nell’angolo nord-est dell’edificio (dove oggi è esposto il plastico di Pompei).

Benché re Ferdinando IV lo avesse approvato, i lavori iniziati vennero ben presto abbandonati poiché la zona non si prestava ad un osservatorio, essendo troppo infossata[13]. L’unico “strumento” dell’osservatorio che si riuscì a realizzare nel museo borbonico fu l’imponente meridiana sul pavimento del “Gran Salone”, oggi appunto chiamato “Salone della Meridiana”).

Parte della collezione Farnese

Durante i lavori di completamento dell’edificio, il re diede finalmente il nulla osta per l’acquisto del giardino dei padri teresiani, ma questi, ottenendo che gliene venisse lasciata una parte, obbligarono di fatto lo Schiantarelli a modificare per la quinta volta il progetto. Nel1793, con il completamento del primo piano, raggiungendo oramai le due ali laterali la base del frontone del Gran Salone (cui facevano anche da contrafforte, rivelandosi in ciò provvidenziali per la sua tenuta e stabilità durante il terremoto del 1805), si impose di ridefinire organicamente l’aspetto esterno del museo.IMG_0448

Così vennero tolte tutte le decorazioni barocche del Fontana (i pinnacoli, i vasi, i tondi con i busti e persino le nicchie con le statue) aggiungendosi soltanto delle doppie lesene agli angoli dell’edificio. Con la perdita dei suoi elementi barocchi, il museo acquisiva in pieno il suo aspetto tipico dell’epoca, ovvero quello di un palazzo in stile classico. Tra il 1793 ed il 1798, mentre si rivelava inconcludente ogni tentativo di realizzare i progetti di allargamento del museo, le soprelevazioni appena realizzate causavano i primi dissesti statici. Schiantarelli cercò di correre ai ripari ma le sue soluzioni furono criticate ancor di più. Ridotto in miseria, egli semplicemente scomparve.

Nel 1799 la realizzazione di un nuovo progetto di ampliamento del museo fu affidata all’architetto Francesco Maresca. Il progetto, il più grandioso di tutti, prevedeva l’occupazione di tutta la proprietà dei padri teresiani, la distruzione di due chiostri e persino l’intaccamento della chiesa. Pur essendo stato approvato dal consiglio dei ministri nel 1802, per la strenua opposizione dei conventuali esso non fu mai realizzato e neppure cominciato.

Ciò non impedì che proseguissero comunque i lavori di completamento dell’edificio esistente. Inoltre altri piccoli lavori a nord del museo portarono nel 1810 alla scoperta di una delle importanti necropoli della greca Neapolis: la necropoli di Santa Teresa.

L’aspirazione a voler ingrandire il museo venne tuttavia drasticamente ridimensionata e scoraggiata dopo l’apertura fra il 1807 e il 1809 del corso Napoleone, la nuova strada di collegamento fra il museo e la reggia di Capodimonte, oggi via Santa Teresa degli Scalzi e corso Amedeo di Savoia, in quanto con essa vennero ben presto ceduti ed occupati da privati cittadini i terreni contigui in modo da edificarvi palazzi ed abitazioni.IMG_0461

Dopo la parentesi murattiana, ritornando il re Ferdinando IV sul trono di Napoli (ora come “Ferdinando I Re delle Due Sicilie“), il 22 febbraio 1816 egli decretava ufficialmente l’istituzione del “real museo Borbonico”. In questa occasione fu eseguita da Antonio Canova una scultura dedicata a Ferdinando posta sullo scalone monumentale del museo.

Nel 1852, con l’abbattimento dei granai di Napoli (le cosiddette “Fosse del Grano”), via Toledo veniva prolungata fino al museo, aprendosi così l’attuale via Pessina. Con il successivo abbattimento delle mura cinquecentesche della città e della porta di Costantinopoli, il museo entrava a pieno titolo a far parte del tessuto urbano della città.

 

Museo nazionale (1860-1957)

Dopo l’unità d’Italia, con la quale il museo diventava proprietà dello Stato ed assumeva il nome di “museo nazionale”, nel 1866 l’architetto Giovanni Riegler proponeva al comune uno progetto che prevedeva un parco pubblico tra l’attuale piazza Dante ed il museo, quest’ultimo facente da quinta scenografica in fondo al parco. Il progetto non venne realizzato per interessi speculativi edilizi che destinarono quei suoli alla costruzione di nuove abitazioni (quelle che tuttora sussistono nell’area) prima che il progetto di Riegler potesse essere approvato. A questo punto si cercò di riparare realizzando, fra il 1870 ed il 1883, un nuovo “raccordo” fra il museo e la città: la galleria Principe di Napoli.

Per i continui incrementi di libri, raccolte archeologiche ed opere d’arte, patendo tutti i settori ospitati nel museo di insufficiente spazio, tra il 1862 e il 1864 si giunse alla determinazione di sloggiare le accademie trovando loro altre sedi in città. L’accademia di scienze e lettere fu così trasferita nell’università mentre l’accademia di Belle Arti fu sistemata nella sua sede attuale.

Sala 84: volta affrescata da Paolo Vetri

Nel 1888 il conte Eduardo Lucchesi Palli donava allo Stato la sua ricchissima e preziosa biblioteca drammatica ed archivio musicale, a condizione che essa non lasciasse Napoli e che non fosse smembrata. Aggregata alla biblioteca nazionale, che allora occupava le attuali sale degli affreschi e del tempio di Iside, nel 1892 il ministro Paolo Boselli ordinava che le venissero destinate tre sale nell’attuale museo (individuate nelle Sale 83-84-85).

Il conte, a sue spese, curò non solo il trasferimento dei volumi, ma anche l’allestimento delle stesse sale, donando gli scaffali “in stile Rinascimento”, occupandosi del loro decoro e commissionando a Paolo Vetri l’esecuzione degli affreschi nella volta (in un cartiglio tuttora visibile vengono ricordati i principali accordi per la tenuta di questa biblioteca). Tuttavia, per la cronica mancanza di spazio, nel 1925 la biblioteca nazionale veniva anch’essa trasferita, per decreto ministeriale, nel palazzo reale, tra le più vive (ed inconcludenti) proteste degli eredi Lucchesi Palli.

Nel 1920, dopo 335 anni, venne terminata la costruzione dell’edificio museale, completando gli ultimi ambienti del secondo piano nella parte rimasta incompleta, quella orientale (oggi occupata dal medagliere).

L’ingresso al museo

Nel 1929 si realizzò finalmente un ingrandimento del museo, il cosiddetto “braccio nuovo”. Il nuovo spazio era ben misera cosa se si considerano i grandiosi progetti di Schiantarelli e Maresca; difatti esso consiste in una galleria costruita a ridosso del muro di contenimento del giardino dei padri teresiani (nella quale verranno esposte iscrizioni ed epigrafi), soprelevata poi nel 1932 di un piano destinato ad accogliere la nuovissima “sezione di tecnologia e di meccanica antica”.

L’edificio del museo e le sue collezioni venne gravemente danneggiato dal terremoto del 23 luglio 1930. L’occasione fu colta per rimetterlo a nuovo, tanto da riuscire a superare pressoché indenne gli urti degli 89 bombardamenti in zona fra il 1940 e il 1943, sicuramente anche grazie ad uno speciale segno dipinto sui suoi tetti che lo facevano individuare quale obiettivo da non colpire. Ciò nonostante il Museo non fu indenne da attacchi, a cominciare dalle truppe di occupazione tedesche che tentarono più volte di requisire l’edificio, evenienza dapprima osteggiata, infine strenuamente impedita (non senza rischio personale) dal soprintendente archeologo Amedeo Maiuri che così evitò che il museo divenisse un obbiettivo militare. Nelle fasi più concitate della guerra e soprattutto delle quattro giornate di Napoli la salvaguardia dell’istituto la si deve unicamente al Maiuri che, benché avesse una gamba ingessata, si barricò nel museo impedendo a chiunque di accedervi. Con l’arrivo delle truppe alleate egli nuovamente impedì, personalmente, l’occupazione dell’edificio stavolta da parte delle truppe anglo-americane, concedendo loro unicamente che i medical stores utilizzassero (fino al giugno 1944) alcune sale al pianterreno come deposito di materiale sanitario e medicinali, mentre il genio civile occupò con i suoi uffici altre sale fino al 1948, essendo la sua sede danneggiata dai bombardamenti.

Nel dopoguerra il ripristino del museo fu lungo e impegnativo, richiedendo non solo la risistemazione di tutti gli oggetti nelle sale (essendo quelli mobili tutti impacchettati ed incassati, mentre quelli inamovibili sepolti sotto montagne di sacchetti di sabbia), ma anche per il faticoso recupero delle opere più pregiate e preziose che, portate in tempo a Roma in Vaticano, furono purtroppo per alcune casse depredate dai tedeschi che, trasportatele dapprima a Berlino, prima della distruzione della città molto opportunamente le avevano trasferite a Salisburgo e nascoste nei suoi paraggi in una salina ad Altaussee. Recuperate e restituite all’Italia il 7 agosto del 1947, la riapertura del museo, benché ufficialmente inaugurata già il 1º luglio 1945 seppure solo per alcune sale, di fatto fu realizzata progressivamente e completata solo nel 1953, richiedendo essa non poche energie, impegno e tempo. Nonostante l’accurato riallestimento, già nel 1957 fu deciso di trasferire anche la pinacoteca, stavolta nella reggia di Capodimonte, liberando così tutte le sale del primo piano disposte intorno al cortile occidentale. Da questo momento il museo diventa esclusivamente archeologico.

 

Museo archeologico nazionale (1958-oggi)

Particolare della facciata

Liberate le sale dalla pinacoteca, ci si affrettò ad allestirle trasferendo in esse la collezione dei “grandi bronzi” collocati da tempo immemorabile al pianoterra, in una galleria intorno al cortile occidentale. Per alcuni anni si lavorò alacremente per migliorare gli allestimenti di tutte le collezioni, volendo che il museo si presentasse perfettamente in ordine, decoroso e fruibile in occasione dell’olimpiade del 1960, evento che avrebbe attirato molti visitatori; la qual cosa fu senz’altro realizzata.

Pochi anni dopo l’edificio mostrò aggravarsi quei segni di dissesto che già lo avevano afflitto in passato, dissesti dovuti proprio al fatto che esso era privo di quelle sottofondazioni adeguate a sostenere un piano superiore che non era stato previsto nei progetti originari. Le gravi lesioni che interessarono soprattutto l’ala occidentale, rendendola inagibile, obbligarono a sgomberarla completamente da tutte le collezioni che l’occupavano.

A partire dal 1967 furono intrapresi radicali lavori di consolidamento e di restauro architettonico dell’edificio, a cominciare dalla copertura del salone della Meridiana, per poi passare nel 1970 all’ala occidentale dove gli interventi impiegarono dieci anni.

Galleria 45 con gli archi riaperti intorno al cortile occidentale (allestimento 2012).

A conclusione di essi, nel 1986 è stato possibile ripristinare il porticato intorno al cortile occidentale, abbattendo i muri eretti nelle arcate da Ferdinando Fuga. Le arcate, così liberate, sono state in parte richiuse con enormi lastre di vetro trattenute da tiranti in acciaio, con lo scopo da un lato di ridare al porticato la sua luminosità originaria e dall’altro di preservare dalle intemperie le opere esposte. Con l’occasione si sono anche voluti rimettere a nudo le strutture più antiche del palazzo, i pilastri in piperno ed i muri in laterizi che avevano caratterizzato l’edificio della Cavallerizza ed i primissimi interventi edilizi di Giulio Cesare Fontana, liberandoli dagli intonaci e stucchi che li ricoprivano.

I lavori di restauro intrapresi furono inoltre occasione per avviare un’approfondita indagine non solo architettonica ma anche archivistica sulla storia del museo; indagine approdata nel 1975 ad una mostra storico-documentaria e due anni dopo ad una interessante pubblicazione.

Il cosiddetto Braccio Nuovo prima degli interventi di ristrutturazione avviati nel marzo 2006 e mai conclusi.

I grandi lavori intrapresi in quegli anni furono affiancati da altri forse meno appariscenti ma altrettanto importanti ed impegnativi che riguardarono una revisione inventariale di tutti gli oggetti conservati nei depositi del museo ed un grosso impegno di schedatura della maggior parte di essi.

Al 2013 il museo archeologico è interessato da lavori di ingrandimento che, avviati nel 2012 con la cui conclusione prevista per il 2015, interessano l’area settentrionale e principalmente il cosiddetto “Braccio Nuovo”.

L’edificio, benché il più recente in ordine di tempo, non era stato più ripristinato dopo la seconda guerra mondiale, risultando così talmente degradato da non essere più utilizzabile in alcun modo. Per il suo recupero è stato indispensabile liberarlo dal terrapieno retrostante, il cui sbancamento ha permesso di recuperare oltre 100 tombe antiche facenti parte della già nota necropoli di Santa Teresa, tombe inspiegabilmente scampate al “frugamento” del 1810.

Nell’ala del “Braccio Nuovo”, una volta ripristinata, sono previsti i trasferimenti di una parte della collezione pompeiana ora in deposito, gli allestimenti di una nuova sala conferenze, il trasferimento della biblioteca della soprintendenza archeologica, ed un punto ristoro per i visitatori del Museo. 374994_253356008139512_708429218_n

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Mi chiamo Antonio Ciccotti ,sono nato a Napoli in un caldo mese di Luglio, una città unica,che non ha bisogno di presentazioni. Partecipazione,attivismo,informazione ,libertà di espressione.sono le cose che più mi interessano.



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